Premessa necessaria: non 
					dispongo di internet in questi giorni.
					Sono infatti a Milano per Natale, e il mio Alice Broadband HSDPA, che a Viterbo funziona, (non HSPDA però), nella 
					capitale morale e avanzata smette di funzionare: credo per 
					un sovraccarico della rete; tanti hanno Alice (ci siamo 
					cascati, abbiamo creduto alle promesse), o stanno 
					scambiandosi idioti SMS natalizi.
					La HSPDA, che mi è stata venduta come rapidissima (le prime 
					due lettere stanno per «high speed»), diventa UMTS poi, 
					scade a «Limited Service» e non prende.
					Pago per intero a TIM un servizio che non ricevo, e non 
					posso rivalermi in alcun modo: questa è l’Italia.
					Questa è Milano. Niente notizie.
					Approfitto per riflettere sul problema di fondo, quello di 
					cui il non-servizio Telecom è una delle tante 
					manifestazioni.
					Teoricamente privata, Telecom è «pubblica» perché 
					dovrebbe garantire un servizio pubblico.
					Ma è essenzialmente «pubblica» per mentalità: come tutto il 
					settore pubblico, il concetto di «servizio» significa essere 
					al servizio di se stessa, della sua posizione dominante e 
					dei suoi privilegi e monopoli.
					Il concetto che si è responsabili di «servire» la società, 
					da cui si viene pagati, è estraneo alla natura stessa del 
					«servizio pubblico».
					Il New York Times ha scritto, come si sa, che l’Italia è 
					un Paese senza speranza, schiacciato dal debito pubblico e 
					ostacolato nel fare dalla burocrazia più incompetente e 
					costosa del pianeta.
					E come si sa, il presidente Napolitano, che era in USA al 
					Council on Foreign Relations («dov’è di casa», scrivono i 
					media) ha «difeso l’Italia» (dicono sempre i media) da 
					questa critica che tutti condividiamo.
					In realtà, ha ammesso che esistono 
					«interessi corporativi» che bloccano il Paese: e come 
					esempio di privilegio corporativo, ha citato i taxisti di 
					Roma. Settemila taxisti, ecco il problema.
					Lo dice il solo presidente repubblicano che ci costa 
					dodici volte di più che la monarchia britannica. E che 
					presiede su un organo, il Quirinale, che ha 5 mila 
					dipendenti i quali costano annualmente quanto la gestione di 
					una città di mezzo milione di persone, diciamo Padova.
					Non gli è venuto in mente, a Napolitano, di citare fra le 
					cosche corporative il personale Alitalia: tre volte più dei 
					taxisti, che hanno perso in tre anni (dal 2003 al 2006) 
					qualcosa come 2,1 miliardi di euro.
					Un esemplare «servizio pubblico» che serve solo a se stesso: 
					i suoi piloti guadagnano il 30% in più di quelli dell’Air 
					France, le sue hostess il 26% in più, il personale tecnico 
					il 22% in più.
					E mentre Alitalia perdeva 700 milioni di euro l’anno, il 
					presidente Cimoli «guadagnava» 190 mila euro al mese, e per 
					andarsene ha avuto una buonuscita di 8 milioni di euro.
					Questa è la mentalità della Casta: per i suoi parassiti, il 
					problema dell’Italia sono i cittadini che difendono il loro 
					reddito, mille volte inferiore. I 
					taxisti sono «corporativi» perché tentano di limitare la 
					concorrenza.
					I padroncini dei Tir sono «corporativi».
					Un taxista ha scritto a Libero: con 
					più taxisti a Roma i prezzi delle corse aumenteranno, perché 
					ciascuno facendo meno corse dovrà far pagare di più quelle. 
					Il solito teorico liberista da giornale che non conosce la 
					vita gli ha risposto: ecco, l’errore è voler difendere il 
					proprio reddito di oggi.
					Rassegnatevi al mercato, i meno imprenditoriali di 
					voi saranno assorbiti da più grosse imprese e diverranno 
					lavoratori dipendenti, i più intraprendenti  faranno le 
					concentrazioni. La stessa lezioncina era rivolta ai TIR, 
					questi criminali che «vìolano le regole».
					Facile, da un giornale che ha il finanziamento pubblico, 
					e dunque è protetto dal libero mercato.
					Il teorico da quotidiano dovrebbe capire che in Italia non 
					c’è un «mercato» se non per i disgraziati.
					I molteplici apparati pubblici si sono messi al riparo, e 
					per questo si fanno pagare la loro inefficienza come fosse 
					oro: sul «mercato», i loro sedicenti «servizi» non li 
					vorrebbe nessuno.
					La magistratura lascia impuniti il 72% degli omicidi e il 
					98% dei furti: pensate quanto durerebbe un padroncino di TIR 
					che non consegnasse il 72% delle merci affidategli.
					Non solo la Casta si è protetta dal mercato, ha protetto il 
					corpo sociale di riferimento.
					Alitalia, sul mercato, sarebbe scomparsa da anni.
					I magistrati pure, facilmente sostituibili, almeno per le 
					cause civili, da collegi arbitrali (ci sono già nelle Camere 
					di Commercio) accettati previamente fra le parti.
					Mi spiace per gli insegnanti, che sono vittime più che 
					colpevoli, ma anche la scuola pubblica, produttrice di bulli 
					analfabeti, non durerebbe molto, sul «mercato».
					Giorni fa una madre mi ha riferito che a scuola, alla sua 
					bambina di 12 anni, insegnano tutto (e solo) sui dinosauri: 
					una scienza che la maestra ha chiamato «archeologia» anziché 
					«paleontologia». 
					Guadagnerà poco quella maestra, ma evidentemente non merita 
					nemmeno quel poco: diffonde analfabetismo pressapochista, a 
					bambini per cui i dinosauri sono creature magiche, da Harry 
					Potter (la maestra ne continua a parlare perché è una 
					darwinista accanita, e per lei i grandi sauri estinti sono 
					«la prova dell’evoluzione»).
					Bene o male, nel «servizio pubblico», anche i peggio pagati 
					stanno meglio del resto della società, possono sparare 
					cretinerie come queste e non perdere il posto.
					Sono centinaia di migliaia, e sono ben difesi dai sindacati.
					I sindacati fanno la faccia feroce, vogliono che Alitalia 
					resti nazionale.
					Il motivo è ovvio: comprata da stranieri, Alitalia e i suoi 
					parassiti sono persi come mammella di denaro pubblico e come 
					massa clientelare, a cui fare favori in cambio di appoggio 
					politico.
					Infatti, s’è visto, i sindacati difendono «l’occupazione in 
					Alitalia», ma da gran tempo si sono dimenticati dei 
					metallurgici, che bruciano nelle acciaierie per 1.200 al 
					mese, 16 ore al giorno, e con il licenziamento in vista.
					I parassiti Alitalia minacciano sciopero selvaggio a Natale, 
					e la Casta li implora, gentile: no, non fatelo.
					I camionisti non sono stati con la stessa implorante 
					gentilezza.
					«Hanno fatto perdere al Paese 2 miliardi di euro, ed 
					hanno ottenuto 30 milioni di euro di benefici», urlano 
					i media (con finanziamento di Stato).
					Colpa loro?
					Il nostro è il solo Paese europeo dove l’80 % delle merci 
					cammina sui pneumatici, perché le ferrovie «pubbliche» non 
					fanno il servizio, anche se dilapidano 15 miliardi di euro 
					l’anno in perdite. E i costi aumentano perché da trent’anni 
					i politici bloccano le cosiddette infrastrutture.
					L’autostrada verso Mestre è un ingorgo permanente di 
					bisonti con targhe turche, slovene, romene, bulgare, greche 
					e francesi; tra Firenze e Scandicci un altro ingorgo 
					perenne, ore ed ore in colonna, perché i Verdi non vogliono 
					il raddoppio in quel tratto.
					Ma la colpa è dei padroncini dei bisonti coperti di 
					cambiali, che difendono il loro reddito - grave colpa per la 
					Casta, che il suo l’ha difeso una volta per tutte.
					Sono loro, i parassiti a vario titolo «pubblici», che 
					obbligano le categorie (quelle che possono) a difendere il 
					loro reddito comunque calante, con le unghie e coi denti: in 
					uno Stato dove l’ingiustizia è la norma, è ovvio che 
					chiunque abbia un potere reale lo faccia pesare.
					I sacrifici come l’accettazione di un reddito minore sono, 
					alla lunga, necessari: ma comincino prima loro.
					Cominci Napolitano a snellire il Quirinale, cominci il 
					ministro Bianchi a sfoltire i 51 mila dipendenti 
					ministeriali dei Trasporti che si sono fatti una 
					cassa-previdenza aggiuntiva, che paga pensioni d’oro, un 
					doppio TFR e persino le spese scolastiche per i figli della 
					convivente, anzi persino le spese legali per i dipendenti 
					condannati per disonestà.
					E non sono troppi, 51 mila?
					Non saranno mica iscritte anche mamme, amanti e sorelle, a 
					quella cassa che paghiamo noi contribuenti con sovrattasse 
					recentissime?
					Cominciamo di lì, magari.
					Macchè.
					Si è saputo che la magistratura di Roma minaccia di 
					sequestrare i TIR dei padroncini più focosi nel blocco.
					Fateci capire: li volete ridurre alla fame.
					Un principio generale del diritto dice che persino al 
					debitore insolvente non si possono pignorare i mezzi per 
					sopravvivere: non si pignora il letto, il tavolo, le 
					pentole.
					E il TIR ancora da pagare, secondo i magistrati, si può 
					sequestrare, mandando in rovina il camionista privato del 
					suo «ferro del mestiere».
					Dov’è scritto?
					In quale legge?
					Inutile chiederlo: la casta giudiziaria s’inventa le 
					leggi secondo il nemico del momento, sapendo che può farle 
					approvare da un parlamento complice.
					E’ il suo modo d’intendere il diritto positivo.
					E’ la mentalità, sempre punitiva e poliziesca: la Casta 
					sospetta i privati che si arrabattano di crimini, per il 
					fatto che esercitano la loro libertà, ciò che viene inteso 
					come insulto alla Volontà Generale che la Casta, beninteso, 
					identifica con i suoi interessi.
					Quei giudici, evidentemente, aspirano a sequestrare tutti i 
					TIR: chiaramente, perché pensano che i camionisti siano 
					superflui come i loro parassiti protetti.
					Non sanno che tutte le categorie autonome sono 
					indispensabili alla società, e non se ne accorgono nemmeno 
					dopo averne avuto la prova in tre giorni di blocco.
					Pensiamoci: è la stessa mentalità per cui il regime 
					sovietico sequestrò ai coltivatori diretti ucraini (kulaki) 
					anche il grano per le sementi, con l’accusa di «nascondere 
					le riserve» e di «sottrarsi all’ammasso».
					L’anno dopo il raccolto mancò, come vuole la natura.
					Ma la nomenklatura di Stalin e Kaganovic mica prese atto che 
					l’errore idiota era il suo: anzi, si mise a fucilare ancor 
					più kulaki, come «sabotatori».
					Il pensiero che c’è dietro è lo stesso: i corpi sociali 
					autonomi sono inutili, si possono liquidare.
					In Italia, la differenza è solo di grado: al contrario della 
					Nomenklatura stalinista, la Casta non ha abbastanza mezzi 
					repressivi per il Terrore.
					La magistratura si limita a minacciare il sequestro dei 
					mezzi di lavoro ai camionisti, ma non ha la sua Ghepeù, non 
					ha il KGB per fucilare lì, sull’autostrada, i «sabotatori».
					Per il momento almeno.
					Perché Visco ci sta già provando.
					D’ora in poi, ha decretato, per i pignoramenti forzosi agli 
					«evasori» (o quelli che lui giudica tali),
					i funzionari di equitalia, l’ente para-pubblico di 
					riscossione e recupero tributario, saranno accompagnati da 
					Fiamme Gialle.
					Il pignoramento a mano armata.
					E da dove comincia questa persecuzione intimidatoria?
					Da Treviso.
					Treviso: una delle poche zone produttive d’Italia, che 
					riesce ad esportare e a competere, nonostante la mancanza di 
					strade, le tasse più alte del mondo e i rimborsi IVA che non 
					arrivano mai (le imprese sono perennemente in credito col 
					Fisco che le perseguita), nonostante i mille bastoni fra le 
					ruote della burocrazia statale, regionale, provinciale, 
					comunale, tutti lì a succhiare sangue.
					Una miriade di piccoli imprenditori indispensabili: se non 
					ci sono loro ad esportare e guadagnare valuta, non possiamo 
					comprare gas e petrolio.
					Visco è deciso a strangolare quella gallina delle uova 
					d’oro.
					Evidentemente, è convinto che a rovinare quella categoria, 
					il Paese non ha niente da perdere.
					Crede si possa vivere senza micro-imprese, che sia giusto 
					annichilirle con le tasse e le multe, con le visite continue 
					della Finanza che ostacolano il lavoro e le consegne.
					Altre sono le categorie che la Casta ritiene 
					indispensabili.
					Per esempio: non ci risulta che abbiano sequestrato 
					l’automezzo al Rom che ha falciato, guidandolo ubriaco, i 
					quattro ragazzi.
					Ma è giusto sequestrare il camion ad un uomo che ci si 
					guadagna da vivere.
					E’ giusto proteggere i piloti strapagati e le hostess di 
					Alitalia coperte d’oro dal padrone straniero, non gli operai 
					della Thyssen.
					E’ giusto esercitare la manica larga verso le banche che 
					truffano i clienti.
					E’ giusto proteggere l’autoblù di Mastella; al New York 
					Times che informava gli americani che l’Italia è il Paese 
					con più autoblù al mondo, Napolitano ha sbuffato: «Basta 
					con questa idiozia!».
					No, non è questo il problema: i taxisti sono il problema, e 
					i camionisti.
					Questa è la mentalità.
					Questa Casta e i suoi corpi sociali protetti non si 
					contentano di prelevare la fetta più grossa della torta 
					prodotta da chi lavora: vuole anche punire, ostacolare chi 
					le paga gli emolumenti, intercettare, controllare, 
					sorvegliare fino ad asfissiare.
					Non si contenta di essere un parassita, vuole anche 
					«rieducarci»: accettate il mercato, non resistete alle 
					riduzioni del reddito, ma pagate le tasse, mascalzoni!
					La sanguisuga inutile si rende utile così, a suo modo.
					Si sente investita da un compito morale, pedagogico.
					Per questo è pericolosa, per questo bisogna liberarsene: 
					perché i corrotti stanno diventando Robespierre, che almeno, 
					era l’Incorruttibile.
					Lo dico ad un lettore che mi ha scritto: «e basta con 
					questa storia degli emolumenti ai deputati, anche a ridurli 
					mica si compensa il deficit pubblico, il vero problema è il 
					modello di consumo, le auto, i telefonini, gli ananas 
					portati da Sri Lanka; dovremmo mangiare le mele del 
					Trentino…»
					Certo, il modello, il sistema generale del capitalismo.
					Certo, va cambiato.
					Dunque in Italia abbiamo due problemi, non uno: liberarci 
					dal capitalismo di mercato, e liberarci dalla Casta.
					Gli stipendi dei politici vanno troncati non per compensare 
					il deficit pubblico, ma perché sono per loro essenza 
					corruttori.
					Fanno della politica il mestiere meglio pagato, e il più 
					irresponsabile.
					Separano chi li percepisce dal destino comune, che è di 
					crisi e recessione.
					Il modello di consumo c’è anche in USA e in Gran Bretagna e 
					in Francia, ma Sarkozy s’è aumentato lo stipendio: il 
					presidente francese prendeva 7 mila euro mensili.
					Tony Blair, meno di 200 mila euro l’anno.
					Il presidente USA 380 mila dollari.
					Sono paghe da assessori regionali, anzi inferiori.
					Soprattutto, in nessun altro settore si prendono 15 mila 
					euro al mese senza dovere, in cambio, fornire un qualche 
					risultato, esercitare qualche responsabilità rischiosa.
					Ho già parlato di un ingegnere che conosco, giovane ma con 
					10 anni di esperienza all’estero, oggi alla BP dove 
					controlla la sicurezza degli impianti: responsabilità 
					fortissima, che può portarlo in galera in caso di incidente.
					E prende 2.400 euro mensili.
					Questo è il mondo reale: gravi responsabilità per due 
					decimi di quel che prende Calderoli o Fini o Mastella quando 
					non è ministro.
					Vedete come si divertono, come esibiscono la loro 
					irresponsabilità: Calderoli fa una legge elettorale che 
					definisce lui stesso una cagata, poi va col maiale a 
					pisciare dove dovrebbe sorgere una moschea. Fini ingravida 
					una velina.
					Sircana va la sera a vedere i travestiti.
					Quell’altro deputato se la fa con due troiette e un chilo di 
					coca, per tirarsi su.
					E’ la prova napoletana: «o’ pesce» non vuole 
					pensieri, loro non hanno nemmeno un grattacapo,
					e perciò «o’ pesce» è sempre in attività.
					Irresponsabili impuniti, divertiti, giocherelloni.
					Se il loro emolumento si riducesse di ogni punto che 
					l’Italia perde in competitività, per ogni operaio che muore 
					sul lavoro, per ogni perdita di potere d’acquisto dei 
					pensionati minimi, almeno sarebbero coscienti che sono sulla 
					stessa barca nostra.
					Non lo sono, e per questo sono pericolosi.
					L’Italia è depressa, dice il New York Times: Prodi ha 
					replicato, col sorriso largo del suo faccione da ebete: «Io 
					invece sono contento».
					Infatti: lui è della Casta da oltre trent’anni, da sempre a 
					succhiare la mammella del contribuente.
					Per forza è allegro: la concorrenza cinese, lui, non lo 
					mette a rischio di riduzione del reddito.
					Né deve rispondere di alcunchè a nessuno.
					Guardate cosa ha fatto per l’Alitalia, azienda quotata in 
					Borsa (solo una Borsa dove sono quotate le squadre di calcio 
					può accettare un catorcio così): mettendo in giro voci di 
					fantomatici aspiranti all’acquisto del catorcio, ne ha fatto 
					apprezzare le azioni, fino al massimo di 1,134 nel 2007; ora 
					che Air France offre di pagare 0,35 euro ad azione (anche 
					troppo, con i ventimila fancazzisti da licenziare, e 
					protetti dai sindacati…), le azioni precipitano, migliaia di 
					risparmiatori che si credevano furbi sono bruciati…
					Ma qualcuno ci ha guadagnato, e piacerebbe sapere chi.
					«Aggiotaggio di Stato», scrive Oscar Giannino.
					Ma si può essere certi che la magistratura non muoverà un 
					dito.
					Deve indagare sui TIR e su Berlusconi, un incapace, ma 
					evidentemente non protetto; è pur sempre un privato 
					imprenditore.
					Ogni azione Alitalia, dalla sua emissione nel 1989, ha perso 
					il 99% del suo valore.
					Cimoli ha guadagnato 106 mila euro mensili e 8 milioni di 
					buonuscita (ai lavoratori privati, la buonuscita è stata 
					tolta).
					Ad Alitalia Prodi ha messo un uomo suo, che si chiama Prato: 
					è un amico che tiene in caldo l’oggetto, che poi Prodi 
					venderà al più conveniente aspirante - a chi conviene a lui.
					Ora l’ha rifatto, con Italease, la banca immobiliare che s’è 
					rovinata da sola coi suoi stessi derivati, rovinando insieme 
					centinaia di clienti a cui ha chiesto, intimato, il rientro.
					Il management autore del disastro (tipo Parmalat, dicono) è 
					stato sbattuto via, con le buonuscite.
					C’è un nuovo amministratore delegato, di nome Massimo 
					Mazzega.
					Dicono sia amico di Prodi.
					Non sta facendo nulla.
					La sola decisione che ha preso: far comprare, con i soldi 
					della banca decotta, un tappeto per il suo ufficio.
					Da 50 mila euro.
					Scalda l’uovo al cianuro, in attesa che arrivi «il nuovo 
					socio», quello che a Prodi converrà. Esattamente come in 
					Alitalia.
					E’ un mago in queste cose, Prodi.
					Lo dimostrò con la CIR che diede a De Benedetti, l’amicone, 
					il sostenitore con «Repubblica».
					E’ in questo che è bravo.
					Ovviamente, non ha tempo per centellinare il denaro 
					pubblico, quello nostro.
					Guardate che cosa ha fatto al bilancio di previsione.
					Dopo la stangata dell’anno scorso (30 miliardi di euro in 
					tasse in più, risucchiati dalle nostre tasche), aveva detto 
					che quest’anno sarebbe stata tregua: «solo» 10 miliardi di 
					euro in più,
					una stangatina.
					Ma ora, a finanziaria approvata, le tasse in più da pagare 
					sono diventati 16 miliardi di euro.
					Spese senza copertura aumentate del 50% fra il primo e 
					l’ultimo passaggio al Parlamento.
					Cosa sono queste spese?
					Ma è ovvio: contentini a pioggia a Mastella, ai Verdi, ai 
					rossi «sociali», alle clientele di sostegno, alle cosche 
					sindacali e ministeriali, ai partitini che sostengono il 
					governo Prodi, il serio e responsabile governo Prodi.
					Ecco, caro lettore: le paghe altissime dei deputati e 
					senatori sono solo l’inizio.
					Poi ci sono tanti, troppi altri modi di incassare, per 
					questa Casta.
					La Casta più incapace che esista, sotto le cui mani le spese 
					aumentano come un soufflè nel forno, perché è pagata per non 
					dare servizio alcuno, perché può esercitare 
					l’irresponsabilità e peggio, la corruzione più sfacciata.
					Perché non ha concorrenti, né controllori onesti: i 
					controllori sono parte della Casta, e succhiano dalle nostre 
					mammelle.
					L’Italia è depressa, Prodi invece è contento.
					Contentissimo: e ne ha ben ragione.
					
					Maurizio Blondet
					
					
					http://effedieffe.com/interventizeta.php?id=2503¶metro=politica